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La simbolica cornice in copertina, formata da due motivi ornamentali, la "greca" per l'Occidente e il "fiore di loto" per l'Oriente, vuole richiamare alla mente del lettore i due filoni dell'unica Tradizione universale che l'Editrice presenta nelle sue pubblicazioni. Il "Pozzo", da cui questi due rami si dipartono, può rappresentare per il "ricercatore assetato" la fonte ove attingere l' "acqua pura" della Conoscenza.

L'Autore [Raphael] non ha mai scritto o parlato per i molti o per gli eruditi, i dotti o i professionisti accademici (questi non hanno bisogno di suggestioni, indicazioni o delucidazioni), ma per quei pochi che, acceso il fuoco dentro di sé, sanno poi alimentarlo fino a farlo diventare una grande fiamma di amore verso la Conoscenza-realizzazione. (tratto da "Introduzione - Orfismo e Tradizione iniziatica" )

Incontro con Raphael

D - Come si chiama?

R - Un Realizzato Advaitin è al di là di nome e forma. Raphael è un pseudonimo, perché sul piano della dualità è necessario il nome. Raphael è il simbolo di uno stato di coscienza. A un certo livello, dalla perspettiva dell’Advaita, noi tutti siamo Raphael; Raphael sei tu, è lui, è lei...

D - Raphael ha realizzato lo stato supremo?

R - Lo stato Advaita, lo stato dello jñānin.

D - Raphael ha un determinato compito?

R - Raphael è qui per trasmettere la Tradizione sacra. In questo periodo storico l’Occidente è privo dei Grandi Misteri o della paravidyā. Ma la Tradizione è il Sanātana dharma, la Tradizione eterna, che è di là dai confini geografici e di là dal tempo. A proposito, per ritornare alla domanda di prima: non si può dire “io mi sono realizzato” o “io ho questo o quel compito”. Si svela semplicemente ciò che si è in realtà.

D - Come e quando è avvenuto, che Raphael è diventato Raphael?

R - Raphael esisteva prima e dopo l’essersi manifestato.

D - Quando è divenuto consapevole di ciò?

R - Nella misura in cui l’ātman ha preso controllo sul corpo. All’età di due anni non si può ancora parlare, mentre a dieci anni Raphael più o meno ne era già consapevole.

D - Quindi non c’è un momento di riferimento, nel quale si dice, che prima non si era ancora verificata l’ illuminazione, mentre dopo era già avvenuta?

R - No.

D - Raphael progetta?

R - No. Raphael non progetta nulla; è il gruppo editoriale, che progetta.

D - Si interessa anche delle questioni personali dei suoi discepoli?

R - Sì. L’Advaita integra lo stato manifesto. Per Raphael non è poi tanto difficile comprendere il “livello” esistenziale degli altri. Spontaneamente egli vede e comprende; - ciò è frutto della Conoscenza sacra, che si distingue dalla conoscenza empirica.

D - Chi è Lei, chi sono io; cos’è, che cosa ci distingue?

R - La differenza è in riferimento al corpo, nel nāma e rūpa; al di là del corpo siamo tutti gocce dell’unico Oceano.

Nel sarvikalpa-samādhi si vede la vita con l’occhio dell’Unità... La mente proietta oggetti di varia natura, ma la realtà sta dietro la mente. Se tutti noi riconoscessimo quest’Unità, vivremmo nell’era dell’armonia.

D - Riconoscere la verità oppure viverla con la totalità della nostra coscienza sono due cose diverse?

R - Sì. Comprendo. Si parla infatti di Realizzazione. Il fatto che si comprende ciò teoricamente, significa già tanto, significa che si è già pronti. A questo punto si dovrebbe iniziare con la sādhanā per, appunto, realizzarsi. La difficoltà dipende dal grado di identificazione con i veicoli. L’ahaṁkāra è nella mente, e trascendere l’ahaṁkāra (o senso dell’io) è difficile, ma non impossibile. Comunque lo svelamento di ciò che si è può avvenire spontaneamente e all’improvviso.

D - Come vede un’eventuale fine dello sviluppo (umano)?

R - Non si può porre il problema in questi termini. La manifestazione attuale è il seme non risolto della precedente manifestazione. Facciamo un esempio con lo stato individuato. Quando finirà per un determinato individuo il ciclo delle reincarnazioni?

Non c’è risposta. Il fine può avvenire tra dieci minuti o tra dieci 5 incarnazioni. Lo stesso Buddhismo ci dice che le reincarnazioni continuaranno finché si avrà “sete di vita formale”. Quando si trascendono i guṇa si è di là dal manifesto formale.

D - Qual è secondo l’Advaita il motivo nell’inizio della manifestazione?

R - Non vi sono motivi secondo il riferimento mentale. Il Non-manifesto è acausale e atemporale. In esso non v’è quindi un prima o un dopo.

D - Quindi dal Non-manifesto è nato il manifesto.

R - La manifestazione è solo un’apparenza, secondo lo stesso Parmenide, un miraggio; perciò si parla del Sogno cosmico. Però un sogno non è la realtà assoluta. È come una nuvola che viene e se ne va. È un fenomeno (māyā).

D - Quindi per Raphael il manifesto ha un certo grado di realtà?

R - Sì. Partecipa della realtà dell’Essere, ma non è l’Essere dice Platone. Come un filo di capello partecipa della realtà dell’ente, ma non è l’ente in quanto tale.

D - Quale è il rapporto tra l’Assoluto e il manifesto?

R - Possiamo dire con Platone che il mondo sensibile partecipa del mondo delle Idee (Essere) o è presente (παρυστα) nel mondo. La differenza tra i due è che il mondo relativo, per esistere, ha bisogno del mondo dell’Essere, mentre questo non ha bisogno di quello. L’Assoluto è il fondamento metafisico del mondo intelligibile e sensibile. Per la Coscienza assoluta il manifesto è apparenza. La Coscienza esiste prima, durante e dopo la manifestazione.

D - Quindi la Coscienza si estrinseca attraverso la manifestazione?

R - Sì.

D - Si estrinseca con l’aiuto di veicoli?

R - Sì. Mentre la Coscienza può vivere senza i veicoli, questi, per esistere, hanno bisogno della Coscienza, che dà loro vita.

D - La Coscienza è allora la forza vitale?

R - No. La forza vitale è la prakṛti, è la sostanza, è il prāna.

D - La forza vitale può esistere senza la Coscienza?

R - No.

D - Questa manifestazione ha un’idea come base?

R - No. Alla sua base sono dei semi irrisolti, che cercano di estrinsecarsi, di manifestarsi, c’è l’avidyā.

D - Da dove vengono questi semi?

R - Dal piano causale germinale. La manifestazione è già contenuta potenzialmente nel seme causale. Essa si svela fuori del tempo come nel sogno. Ma i nostri cinque sensi ci fanno percepire il tutto in modo limitato, frammentario o temporale.

D - Il seme contiene già tutto?

R - Sì. Si può parlare dello sviluppo di certe potenzialità, del passaggio dalla potenzialità all’atto secondo Aristotele. Finché siamo identificati con i diversi veicoli, non possiamo comprendere certe cose. La mente empirica non può comprendere la verità atemporale, ma il cuore, la coscienza possono comprenderla.

D - Cosa distingue la scuola Vidyā da Lei fondata dalle altre scuole dell’Advaita Vedānta?

R - Penso che ci sia stato un malinteso. Raphael non ha creato nessuna “scuola nuova”. Raphael è un semplice trasmettitore dell’Advaita Vedānta di Gauḍapāda e Śaṁkara e della Tradizione metafisica occidentale perché, occorre ripetere, la Verità è una. Ciò è importante soprattutto per l’Occidente, perché non c’è una visione Advaita oppure, se esiste, esiste per pochi individui, a livello di semplice cultura. Raphael si riallaccia a Gauḍapāda e a Śaṁkara e così a Parmenide, Platone, Plotino, ecc.. Di tanto in tanto devono essere presenti enti per trasmettere la Tradizione che, ovviamente, non è la tradizione storica dell’uomo. La differenza tra di loro è puramente formale. Śaṁkara non ha creato niente di nuovo. Ha trasmesso ciò che è scritto nei Veda. Neanche Platone e Plotino hanno creato qualcosa di nuovo. La verità già è; noi tutti siamo soltanto i suoi svelatori.

D - Sotto quale aspetto Raphael ritiene l’Advaita Vedānta più valido nei confronti di altre filosofie?

R - L’Advaita Vedānta non è né meglio né peggio di altre Filosofie. Ci sono diversi gradi di verità che dipendono dallo stato coscienziale di ciascuno. Per esempio ci sono delle persone che hanno realizzato Brahman saguṇa, Īśvara, l’Essere. Questo però è solo un’aspetto dell’Assoluto. Nell’Occidente Platone parla dell’Uno-Uno che è di là dall’Essere; ci sono però enti che hanno realizzato la radice dell’Essere. Nei Veda questo era già noto. Solo con la realizzazione si possono comprendere certe cose. Lo stato coscienziale Advaita, o lo stato di cui parla Platone, è l’ultimo grado della realizzazione. L’Advaita include e trascende i sei darśana. La visione metafisica dà la vera Pienezza e la vera Pace.

D - Perché la pura Coscienza cade nell’individuazione?

R - Per un suo atto di libera scelta o libero arbitrio. Un riflesso della pura Coscienza può individualizzarsi fino ad identificarsi con i veicoli. Il Liberato è colui che non è più identificato con essi. Comunque è un “raggio”, un “riflesso” della Coscienza a manifestarsi lungo i vari piani esistenziali.

D - Mi pare che ci sia una contraddizione. Da un lato ha detto che Raphael è sceso per compiere un preciso compito, un determinato dharma, da un altro lato mi parla di libertà...

R - Raphael, come tu stesso, è alla radice della libertà da dove può manifestarsi la libertà... Raphael è qui per un atto di libertà.

Nessuno ha imposto a Raphael di scendere o salire. Noi tutti siamo figli della Libertà, ma possiamo crederci sul piano della necessità.

D - Quali sono gli ultimi gradi della disidentificazione?

R - Per i più si deve tornare indietro un pò alla volta, fin quando ci si emerge in Quello: tat tvam asi. Fin quando non si torna alla Fonte. Quando ci si realizza come jivātman si vive nel paradiso religioso e in bellezza-armonia, perché non c’è l’ahaṁkāra. L’ānandamāyākośa è il veicolo del jīva, o Anima, nello stato di pienezza. Ma l’ātman, o lo Spirito puro, è al di là di tutto ciò. L’ātman può svelarsi improvvisamente di là dal tempo-spazio-causa.

D - Penso che non siamo entità indipendenti. Quando prendo una decisione, sento che non sono io che decido.

R - Quando si è identificati con i veicoli, sono i guṇa che decidono. Se invece nell’Anima ci sono dei semi ancora non risolti, la decisione viene dall’interno e i semi cristallizzati esprimono un determinato karma. Il fatto che tu non ti senti libero significa che porti dentro di te la nozione di libertà. Sia Platone sia le Upaniśad parlano del carro tirato da due cavalli con l’auriga addormentato, questi si deve svegliare: tu non sei il cavallo, sei l’auriga. Nella stessa Tradizione cristiana ci sono cinque gradi di iniziazione. La prima è simboleggiata dalla nascita di Gesù in una grotta. La grotta è un simbolo sia orientale che occidentale. Essa rappresenta il cuore. Gesù è l’incarnazione dell’amore e l’aprire il cuore costituisce la prima iniziazione. La seconda è il battesimo nel Giordano. L’acqua simboleggia la purificazione. La terza si verifica in Gesù trasfigurato sul monte. I suoi discepoli lo hanno visto come Luce. Noi infatti siamo Luce. Più i guṇa sono purificati più risplende il sattva (la purezza della sostanza). La quarta è la sua morte sulla croce. È la morte dell’intera individualità. La quinta è l’ascensione. Ma tutto questo non è un assoluto. Una coscienza pronta può svelare direttamente l’identità con Quello.

D - Gesù aveva un determinato compito? Ogni uomo ha un determinato compito?

R - Si parla di dharma. Gesù era sceso perché in quell’epoca la classe sacerdotale aveva cristallizzato aspetti della Tradizione, e per completare la Legge. Quello che ha fatto Śaṁkara con i brāhmini. Il principio del Cristianesimo è che siamo figli dell’Unità, dello stesso Iddio, e figli dell’Amore.

D - Vuol dire che ci sono delle Entità che osservano il genere umano e che scendono al suo livello?

R - Sì, e in ciò si esplica la Tradizione. Vi sono Enti, a vari gradi di realizzazione, che in libertà scelgono di perpetuare la Tradizione sacra la quale non è frutto del pensiero umano.

D - Quale è la ragione per la quale Raphael si chiama Raphael?

R - Ra era un mantra del Principio nell’antico Egitto. In ebraico le parole che finiscono con el significano Dio. Raphael unifica la Tradizione orientale e quella occidentale. Raphael è uno stato di coscienza.

D - Non sono ancora pronto per assorbire qualcosa di nuovo che riguarda l’insegnamento, dopo il nostro discorso di ieri, ma avrei una domanda personale. Cosa mi consiglia Raphael per la mia sādhanā spirituale?

R - Raphael non sa che cosa hai praticato finora, quindi rispondere è un pò difficile. In ogni caso ti consiglia la Via metafisica. Il Vedānta ha comunque una tecnica descritta nel primo sūtra del Dṛgdṛśyaviveka: la pura coscienza si deve “separare” dai veicoli, dai guṇa, dalle qualità. Nell’alchimia si parla della “separazione” e della “fissazione” del mercurio, che simboleggia la coscienza, e della rettificazione di qualità energetiche. Quando la coscienza è pronta realizza il neti neti: “io non sono i veicoli, non sono le qualità dei veicoli...”. Quando poi la coscienza inizia a fissarsi, comincia la purificazione. Per accellerare il processo si possono evocare contemporaneamente qualità sattviche. Quindi abbiamo: la separazione, la fissazione, la rettificazione e l’evocazione di qualità sattviche. Con la tecnica della separazione la coscienza entra nel silenzio. La prima fase consiste, appunto, nel ritirarsi sempre di più nel silenzio. Ciò è difficile all’inizio; perciò si comincia con la coscienza osservante. Se la mente pensa oppure se emerge un sentimento, si deve essere consapevoli del pensiero o sentimento. A questo punto bisogna evocare delle energie sattviche, e così pian piano averrà un cambiamento. Questa è la prima fase. Quando la presenza-coscienza è stabilizzata, l’Anima, o il jīva, tira in su il suo riflesso, la coscienza incarnata. Quest’è la seconda fase. Nella prima fase dobbiamo agire, fare, in quanto fase individuale; nella seconda fase tutto succede da sé. Il riflesso torna automaticamente alla sua fonte attratto dalla sua controparte divina.

Dal punto di vista dell’Advaita tutto ciò potrebbe svolgersi in modo diretto. Ma occorrerebbe una forma mentis più metafisica. La Filosofia tradizionale è la ricerca dell’ultima realtà. Quando la coscienza afferra che non è questo (guṇa e veicoli), si risolve in Quello. Raphael dice spesso che la miglior tecnica è la comprensione. Nell’antica Grecia conoscere è essere.

I cakra1 sono “serbatoi” dell’energia. La vita ci viene data dall’ alto dal jīva. Il mangiare viene distribuito. Il cakra per il mangiare è situato tra plesso solare e coccige. Chi lo apre può anche non mangiare. Ciò farebbe bene all’umanità! In India ci sono dei yogi che non mangiano. Dividiamo i tre cakra inferiori con gli animali, i tre cakra superiori con i dei. Normalmente in una persona i petali di loto del cakra del cuore sono voltati verso il basso. In un discepolo che pratica una sādhanā cominciano a volgersi verso l’alto. Il Vedānta prima di tutto apre il cuore. Se si sveglia invece la kuṇḍalinī mentre i petali di loto del cakra del cuore sono ancora voltati verso il basso, si possono avere aberrazioni sessuali, avidità...Questo è il pericolo che offre lo Haṭha Yoga - che si sveglia per primo la kuṇḍalinī e insieme a lei il tamas e il rajas dei tre cakra inferiori. Quando invece i petali di loto del cakra del cuore guardano verso l’alto, si hanno il rajas e il sattva dei tre cakra superiori. Ci sono moltissime cose da dire riguardo i cakra, ma oggi posso solo dire le cose fondamentali.

Ogni cakra ha una controparte polare:

1 autoaffermazione –> 7 autorealizzazione

2 aspetto creativo delle forme –> 6 creatività superiore/canale delle idee

3 sentimento –> 4 comprensione.

Tranne il centro ājñā tutti i cakra sono situati sulla colonna vertebrale. Il cuore è situato in mezzo. Nel centro della testa ci sono dodici petali di loto che corrispondono a quelli del centro del cuore: il jīva rientra nel Sé quando si aprono i cakra superiori. La prima fase consiste allora nel ricondurre il riflesso coscienziale nell’anima e la seconda nel rientro del jīva nell’ātman (ultimo cakra). Nella Māṇḍūkya Upaniśad c’è descritto come l’Advaita lavora con questi cakra. Se si segue la Tradizione non si può sbagliare. In ogni modo tutte queste fasi sono relative. Per l’Advaita tu sei già Quello, quindi hai solo da svelarlo. Ma per alcuni ciò può rimanere solo un principio, e allora è bene andare con gradualità. La Tradizione parla di jīvanmukti, di videhamukti e di kramamukti. Tre possibilità che si offrono all’ente secondo le sue qualificazioni.

1 Cfr. La Scienza dell’Amore, pp. 72-73, Edizioni Asram Vidya.

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